TRA COLONNELLI, CERCHI MAGICI E COMMISSARI: RIPARTIAMO DALLA BASE
- libertaetradizione
- 30 lug 2022
- Tempo di lettura: 4 min
La politica, si sa, è in continua evoluzione. Concetti che sembravano superati ritornano, dinamiche che sembrano avere una vita più lunga si sono interrotte bruscamente (anche se i più attenti esperti della politica lo avevano ampiamente pronosticato). Questa continua evoluzione la si è vista nell’ultimo decennio con l’irrefrenabile ascesa del movimento cinque stelle. Un fenomeno creato dagli stessi partiti tradizionali che si erano cristallizzati ed elevati a “creature immortali”; un fenomeno che ha avuto il solo risultato di dare il potere a un manipolo di incompetenti (se pur pervasi da buone intenzioni, bisogna ammetterlo) che hanno precluso l’avanzata in maniera pesante di aspetti di primaria importanza come ad esempio la politica energetica. Da questo fenomeno politico di passaggio che oggi fortunatamente sta sgonfiandosi (per onestà intellettuale bisogna dire che hanno il merito di avere fatto una sola cosa buona: il superbonus 110), i politici o per meglio dire le strutture politiche non hanno imparato nulla. Nessun partito ha saputo cogliere da una disfatta un’opportunità. Tranne un solo partito di sinistra che rimane pressoché costante nella tempesta come nella calma e che ha dimostrato di avere un’idea chiara sul concetto di aggregazione (anche se nel 90 per cento dei casi è velatamente pilotata). Così l’unica soluzione che si è trovata per arginare fenomeni come i 5 stelle è stata quella di accentrare tutto su poche figure che potessero ristabilire un equilibrio. In parte ci si è riusciti anche grazie all’autolesionismo dei pentastellati. Ma l’esasperazione di questo accentramento decisionale politico ha avuto l’inesorabile conseguenza di allontanare il cittadino, l’elettore dalla politica e dall’interesse nei confronti della cosa pubblica che determina anche il benessere (o meno) della propria vita. Le percentuali di affluenza ci ricordano quotidianamente questo allontanamento, ed è grave perché non sono le percentuali delle politiche, delle europee o dei referendum bensì, le più preoccupanti, sono le percentuali reali di appuntamenti quali le amministrative che dovrebbero essere lo specchio del rapporto politico-umano: vado a votare tizio come sindaco perché lo reputo più capace di Sempronio e Martino. Ormai la gente è esasperata, disaffezionata e apatica. Chi ha una certa età, probabilmente, diserta le urne perché disilluso dalle ridondanti promesse che da decenni restano tali (vuoi per incapacità degli amministratori, vuoi per colpe delle Regioni, provincie o dello stesso Stato, vuoi per colpa di qualche Onorevole/Senatore/Consigliere Regionale che si è tenuto lontano dai bisogni del proprio territorio), oppure stufo dei continui cambi di casacca dei soliti noti (a livello territoriale capita spesso); i giovani, invece, molto spesso disertano le urne perché – e fanno secondo me un grave errore a disertare – ritengono le elezioni un fatto che non li riguarda direttamente. In parte hanno ragione a pensare ciò perché essi diventano oggetto di desiderio politico/elettorale solo 30 giorni prima delle votazioni. I partiti non li cercano per anni e non vogliono che loro si intromettano nella gestione del loro potere effimero. Stiamo probabilmente parlando di ragazzi e ragazze che gestiscono imprese, lavorano per aziende (pubbliche e private), che si sono formati. E, probabilmente hanno pure i voti quelli dei loro coetanei (e non) che potrebbero rappresentarli, ma non fanno parte del cerchio magico. Ma parliamo anche di giovani non ancora realizzati e che stanno affrontando il loro percorso e ciò nonostante hanno il desiderio di impegnarsi per il loro territorio e anche loro sono fuori dalle stanze dei “big”. Ma in alcuni casi parliamo anche di politici già affermati che per l’arroganza di “signorotti” non riescono a far prevalere la loro linea progettuale anche se valida. La partecipazione e il coinvolgimento di nuove leve sono, purtroppo, oggi viste come un problema per quei colonnelli graduati che però non hanno un esercito (non hanno voti) e hanno perso il senso della realtà e nonostante ciò mantengono una sorta di status da privilegiato. La dimostrazione della grande differenza tra il fascino che riscuotono i grandi leader nazionali e i loro rappresentanti nei territori risiede nell’ampia forbice tra i sondaggi e i dati reali territoriali. I 20, 15, 18, 24 per cento nel territorio sono più che dimezzati (spesso non si raggiungono nemmeno le doppie cifre). Non si può negare che questo è un grave problema per quelle strutture che ambiscono a governare una nazione come la nostra. È un problema perché arriveremo al punto che occorrerà una classe dirigente formata, competente, persuasiva, seria, credibile e con un’ascendente forte nei confronti dell’elettorato e invece ci ritroveremo con commissari inermi che non gestiranno altro che se stessi e avventurieri in cerca di poltrone e promesse. È chiaro che come per ogni cosa, ci sono le dovute eccezioni. Allora nel momento in cui mancheranno autorevoli figure politiche saremo costretti, a tutti livelli, a subire le decisioni di burocrati sempre più potenti che parleranno attraverso la bocca di nominati. È la morte della democrazia? Probabilmente una sua forte limitazione. Allora bisognerebbe cambiare rotta; occorrerebbe ripartire dalla base, dalla militanza vera, dalla concorrenza interna tra iscritti – che è ricchezza e arricchimento - , dalla selezione naturale che scaturisce da questi elementi. Bisognerebbe ripensare i circoli, che oggi sono nella stragrande maggioranza dei casi, presidi di giovani di buona volontà che però non hanno possibilità di esprimersi seriamente; infatti hanno bisogno maggiore autonomia politica e a queste “istituzioni” bisogna assicurare un ricambio che solo una fase congressuale può assicurare.

L'ufficio commissariale non può essere una consuetudine ma deve essere il giusto passaggio tra la non presenza del partito e la sua nascita. Occorrerebbe, ancora, ridare il giusto ruolo e importanza alla segreteria provinciale, anch’essa oggi presidiata quasi spesso da commissari. Occorrerebbe innescare nuovamente in queste strutture il moto della competizione interna nella battaglia politica. Occorrerebbe che i partiti investissero maggiormente sulle scuole di formazione politiche. Occorrerebbe programmare iniziative che vadano a conquistare i giovani nelle scuole superiori. Oggi sono un vivaio per modelli sociali effimeri e talvolta dannosi. Concludendo, occorrerebbe pensare che presto o tardi i nostri attuali dirigenti dovranno essere sostituiti e chi li sostituirà dovrà avere la stessa competenza, autorevolezza e preparazione. È quindi auspicabile che le segreterie nazionali comincino a pensare al sistema di come riconquistare l’elettorato da un punto di vista del coinvolgimento diretto perché anche da esso poi scaturirà l’elaborazione delle linee programmatiche per il futuro, che è sempre più incerto e va veloce più delle logiche protezionistiche di interessi di parte.
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