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Prontuario di difesa contro il politicamente corretto

  • libertaetradizione
  • 4 mar 2023
  • Tempo di lettura: 3 min

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di DAVIDE CIAMPINI

Ogni giorno veniamo bombardati dalla propaganda progressista del pensiero unico: nei giornali, sulle radio, nelle televisioni. Formalmente le battaglie propugnate sono a favore delle minoranze, siano esse etniche che sessuali. Eppure la forza di questa propaganda, la sua onnipervasività, riesce ad occupare - e a dirigere - il dibattito pubblico. Ma su cosa si fonda quella che è diventata una vera e propria dottrina? Cos'è il 'politically correct' di cui si parla così tanto? Come ci si può difendere dal fanatismo dei più accaniti sostenitori dello stesso? Il politicamente corretto nacque in alcune università americane intorno agli anni '70, al fine di tutelare le minoranze oppresse dalla cultura del tempo. Attraverso un uso edulcorato del linguaggio, si cercarono di attenuare le discriminazioni nei confronti delle stesse; in particolare nei confronti degli omosessuali e degli afroamericani. Oggi, però, il politically correct ha assunto delle sembianze orrorifiche, degne di un romanzo di Stephen King. Esso, infatti, è divenuto una vera e propria arma con cui censurare e zittire l'avversario politico di turno. E tutto questo astio verso le opinioni contrarie alle proprie, questo voler zittire a tutti i costi l'avversario, ha generato grande paura nell'opinione pubblica; la quale, pur di non essere stigmatizzata ed esposta al pubblico ludibrio, si autocensura; aderendo, con il suo silenzio, alla perorazione della causa. Poiché i satrapi di questa dottrina, sempre pronti ad appioppare etichette diffamatorie, non aspettano altro per gridare allo scandalo. Ma ciò che appare lampante è la netta differenza tra il linguaggio comune, ove le persone si sentono libere di affermare il proprio dissenso, e quello edulcorato di cui si fa spesso uso in pubblico. E in questo limbo della coscienza, in questa sorta di frammentazione dell'individuo, scisso tra le sue pulsioni e la gabbia del politicamente corretto pronto a censurare, ecco che si creano i mostri. La limitazione della libertà d'espressione - ivi compresa quella di pensiero - non faranno che esacerbare il clima di odio nei confronti delle minoranze che ci si prefiggeva di difendere. Il paradosso vuole che le stesse categorie, a cui si voleva dare protezione e risalto, verranno percepite come privilegiate dall'opinione pubblica. La coercizione e la censura, tanto care ad alcuni corifei del progressismo, sono mezzi molto pericolosi; i quali non faranno che soffiare sul fuoco dell'odio verso il diverso. L'altra colonna sulla quale si fonda tale ideologia, invece, è la cultura del vittimismo; la cultura secondo la quale l'individuo è succube del mondo, inerme davanti all'ineluttabilità del suo destino. Il bombardamento mediatico al quale è sottoposto l'individuo - sia esso donna che uomo - ha contribuito alla creazione di una vera e propria identità vittimistica; la quale, in forza della sua etimologia, non può che lamentarsi del mondo esterno: un mondo discriminatorio, che ci fà del male e che ci opprime. Il pensiero antico, ove l'uomo è artefice del proprio destino, si pone in perfetta antitesi rispetto alla dottrina summenzionata. E questo individuo, nonostante le condizioni avverse, nonostante le difficoltà, riesce ad arrivare 'a Itaca'. Oggi, viceversa, si tende ad etichettare l'uomo come vittima, e perciò impotente ed incapace di autodeterminarsi; la donna diventa oppressa, l'omosessuale discirminato. Insomma, una vera e propria martirizzazione dell'individuo. E se da un lato questa compassione è auspicabile - visti i metodi di educazione delle vecchie generazioni, dall'altro genererà sempre pretesti per non avercela fatta. La donna dirà di non essersi affermnata per via del patriarcato, l'omosessuale di non aver amato una persona dello stesso sesso per via di una società retrograda. Non a caso i più fervidi sostenitori progressisti sono giovani vacui, privi di identità e di consapevolezza; giullari di un'ideologia fatta di frasi standardizzate, ripetute all'infinito. Figli di una cultura fallimentare, la quale cerca sempre una scusa per non avercela fatta. Una scusa per non alzarsi la mattina e combattere per i propri sogni.



 
 
 

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