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INTERVISTA CON IL PRESIDENTE BERNAUDO

  • libertaetradizione
  • 2 set 2022
  • Tempo di lettura: 6 min

INTERVISTA AL DOTTOR ANDREA BERNAUDO PRESIDENTE DI LIBERISTI ITALIANI

Di Antonio Moscato

Ringraziamo il Dottor Bernaudo per la sua disponibilità nel concedere un po' di tempo per realizzare questa intervista per il nostro blog. In un mondo sottosopra, in una Italia sempre più impantanata dall’inflazione, dalla burocrazia, dall’immobilismo politico e con le elezioni alle porte abbiamo ritenuto indispensabile un confronto con chi persegue il sogno della libertà.

Presidente, il 25 settembre si avvicina e i vari partiti politici quotidianamente illustrano le loro ricette economiche per risollevare il paese. Vede una parvenza di liberismo in queste formule magiche?


Da parte del centrodestra ci sono delle aperture sul fisco, ma sono contraddittorie. Noi abbiamo proposto un sistema duale: da una parte i produttori di Pil (partite iva) a cui va applicata un’unica imposta del 15%, sottratte le spese aziendali, un’aliquota proporzionale che deve tener conto del rischio d’impresa e della discontinuità insita nell’attività imprenditoriale e del lavoro indipendente. Va eliminata la doppia tassazione (per le società) all’atto della distribuzione degli utili, in quanto già tassati. Quindi non una “flat tax” generica che mai è stata applicata, seppur sbandierata in ogni campagna elettorale e che ancora oggi viene declinata dai partiti del centrodestra in modo confuso e contraddittorio.

Una cosa da fare subito è anche eliminare gli anticipi fiscali che sono una vera e propria “estorsione” legalizzata.

Certo è che da parte del Pd, della sinistra ed in generale dai detrattori di un’aliquota “piatta” sfugge il concetto di proporzionalità, che è quanto di più equo e corretto per chi svolge attività di impresa o professionale, insomma per i titolari di una partita iva.

Per i lavoratori dipendenti va invece diminuita, dimezzata, la pretesa fiscale e contributiva da parte dello stato, quindi più soldi in busta paga, ma senza in alcun modo penalizzare i datori di lavoro privati. Perché se le buste paga dei lavoratori in Italia sono più basse rispetto ai colleghi degli altri paesi non è per l’ingordigja di chi offre occupazione, ma per le assurde pretese fiscali e contributive dello stato.

In generale va superato il vecchio conflitto sociale tra lavoratori e datori di lavoro, che anzi dovrebbero unirsi, perché il nemico “occulto” di chi lavora e produce è lo stato italiano, che tartassa chi lavora per mantenere un apparato autoreferenziale pubblico e sacche di clientelismo vergognoso che si annidano nei fortini dei partiti politici, cioè società municipalizzate e partecipate a vario titolo dallo stato e dalle sue molteplici articolazioni locali.

Su questo i sindacati italiani sono corresponsabili in solido con i governi che si sono succeduti negli ultimi cinquant’anni.


In riferimento alla domanda di prima, vede un partito o uno o più esponenti di partito che potrebbero garantire in qualche modo una rotta verso questa dottrina politica?


No, in Italia manca un partito liberista. E le conseguenze di questo si vedono bene dai numeri della nostra economia, dal livello pazzesco di ipertassazione e contribuzione. Noi siamo uno stato anti-impresa da moltissimi anni e sono responsabili tutti i partiti che si sono alternati al governo. In Italia avremmo avuto bisogno di un nostro Reagan o di una nostra Thatcher, poteva esserlo Berlusconi, ma purtroppo ha fallito sulla rivoluzione liberale.

Nessun imprenditore oggi consiglia a suo figlio di aprirsi una partita iva.

Lo stato italiano ha costretto le madri e i padri a far allontanare i propri figli dall’Italia per andare in paesi dove le libertà economiche sono rispettate e chi fa impresa viene portato, giustamente, su un palmo di mano.

Qui i contribuenti produttivi sono trattati da delinquenti, sono evasori presunti e come tali sono stati prostrati di fronte ad uno stato aguzzìno e sono oggi il vero anello debole della nostra società. Questo è uno dei risultati più nefasti dello statalismo imperante.


In merito alla questione del tetto europeo sul prezzo del gas, tutti negli ultimi giorni parlano che questi aumenti (se pur dovuti alla guerra) sono la conseguenza del liberismo e ora ci si rende conto che si ha bisogno dello Stato. Cosa pensa un liberista puro di questa situazione e come l’affronterebbe?


Se stiamo in questa situazione è perché i governi italiani hanno rinunciato colpevolmente ad una strategia energetica che ci rendesse indipendenti. Abbiamo rinunciato al nucleare, non abbiamo investito sul nucleare di quarta generazione, non abbiamo implementato, anzi abbiamo eliminato le estrazioni di gas metano dai nostri mari. Non sfruttiamo i giacimenti che abbiamo nel nostro territorio.

Ancora oggi, dopo aver dato enormi incentivi per le energie rinnovabili, non abbiamo aggiornato l’iter autorizzatorio per le installazioni, non abbiamo costruito infrastrutture in grado di poter sfruttare al meglio le energie provenienti dal fotovoltaico. Lei pensi solo che per installare i famosi pannelli oggi servono 3 anni di cartacce e burocrazia in un girone burocratico infernale che genera incertezza del diritto sia per le imprese del settore che per i privati che cederebbero volentieri i propri terreni per creare energia solare a basso costo.

Oggi, alla luce del conflitto in Ucraina, è chiaro che per non far ricadere su cittadini ed imprese il costo dell’aggressione russa verso l’Ucraina serve una decisione che coinvolge l’intera Europa e tutto il cosiddetto “blocco occidentale”, ma bisogna fare presto.

Il liberismo comunque in Italia non è stato mai applicato, quindi chi addebita la nostra condizione oggi sul piano energetico al liberismo è in totale malafede. Siamo dipendenti sul gas per il 40% dal regime autocratico russo, lei mi spiega in che modo il liberismo c’entri qualcosa?


Non pensa che fino ad ora in Italia le privatizzazioni siano state annacquate da una sorta di statalismo nascosto? Nel senso che in molti casi si è avuta l’impressione che sono stati privatizzati gli utili e socializzate le perdite?


Certo è sempre stato così. Le privatizzazioni italiane sono state la svendita di pezzi di stato ai soliti noti attraverso il capitalismo di relazione che è l’opposto del liberismo economico.

Nessuno è mai stato in grado di liberalizzare sul serio, ad esempio, la gestione dei servizi pubblici locali. Come se un servizio “pubblico” fosse tale, perché gestito dallo stato. Quanto di più falso. Lei guardi come è migliorato il servizio dei treni con l’ingresso di un minimo di concorrenza. La concorrenza è l’unica medicina alla corruzione e all’inefficienza statale.

Un servizio rimane di pubblica utilità anche se a gestirlo sono le migliori eccellenze del privato, attraverso le gare e sotto il rigido controllo dei risultati da parte dell’amministrazione. Oggi controllore e controllato sono la stessa persona per larga parte dei servizi: lo stato e le sue società.

Vede la gestione pubblica dei servizi serve ai partiti politici per esercitare il proprio potere ed alimentare le proprie clientele.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Emblematico l’esempio di Roma, la capitale dello sfascio dello statalismo.

Quando la politica uscirà dalla gestione dei servizi sarà sempre troppo tardi.

Nessun partito, tranne noi, vuole realmente percorre questa strada.


Se non avessero perpetrato l’ingiusta norma che non ha consentito a L.I di presentarsi e se per caso Andrea Bernaudofosse stato eletto, quali sarebbero stati i primi tre disegni di legge a sua prima firma?


Il tema della libertà negata di fare politica in Italia è un altro risultato del sistema oligarchico è chiuso operato dai partiti dominanti.

Per i punti direi: mai più obblighi diretti ed indiretti a trattamenti sanitari - sfruttando stati di emergenza “ad libitum” - come abbiamo visto nel corso della pandemia, ma seguire l’esempio dell’Inghilterra, cioè la libertà di scelta individuale.

Riduzione della pressione fiscale e contributiva sotto la media OCSE per tutti e riforma della previdenza con sistemi a capitalizzazione e libertà di scelta tra pubblico e privato. Eliminazione dell’intermediazione pubblica in vasti settori dell’economia e nella gestione dei servizi, con gare su vasta scala.

Ma ci sono tante altre cose che andrebbero fatte. Lei me ne ha chieste solo 3.


L’Italia ha una possibilità di diventare un vero Paese liberale?


Al momento: no. Serve un partito specifico per questo che abbia nel proprio dna un concetto fondamentale: lo stato non è la soluzione, lo stato è il problema, il raggio di azione del governi va limitato e non esteso, di qui passa la libertà. In Italia si fa esattamente il contrario.

Quel partito purtroppo oggi non può ancora incidere sulle scelte politiche, quel partito siamo noi Liberisti Italiani.

Ma per me - come per tanti altri che con me stanno lavorando - costruire questo partito è diventata una ragione di vita e andremo avanti, nonostante l’ostracismo, l’isolamento e la dolosa clandestinità nella quale ci stanno tenendo i mezzi di informazione maistream.

Purtroppo scalfire l’oligarchia statalista italiana non sarà facile, ma è indubbiamente una sfida entusiasmante e chiunque intenderà portarla avanti con noi andrebbe ringraziato e sostenuto da tutti gli italiani che intendono riprendersi la propria vita, il proprio futuro, quello dei propri figli, in una parola la libertà, perché l’Italia non è un paese libero.

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